Il mobbing: quando qualcuno vuole “farti fuori” (e te lo fa capire) (I)

Rimanendo come promesso ancorata all’organizzazione, dopo aver parlato del burnout, vi parlerò oggi di un fenomeno crescente e difficile da fermare: il mobbing.

Il mobbing è una forma di molestia o violenza psicologica esercitata, quasi sempre, con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo e con modalità polimorfe (Gilioli, et al., 2001).

 Mobbing1

Il termine mobbing, dall’inglese to mob, accerchiare, assalire, attaccare, è stato utilizzato la prima volta per riferirsi ad un gruppo di animali della stessa specie che, coalizzatosi contro un membro del proprio gruppo, lo attacca ripetutamente al fine di escluderlo (per allontanamento o autoeliminazione). In seguito, negli anni Settanta fu utilizzato in Svezia per riferirsi ad un comportamento ostile e di lunga durata riscontrato tra scolari, ma in seguito si ricorse al più appropriato termine bullying (in Gran Bretagna il mobbing è ancora definito bullying at work).

È solo negli anni Ottanta che Leymann, psicologo del lavoro, adopera per primo questo termine con riferimento all’ambito lavorativo. Vi si riferisce come ad un tipo di vessazione psicologica, esercitata sul posto di lavoro, ripetuta e prolungata nel tempo che comporta disturbi da stress postraumatico. Gli attuali orientamenti concordano nell’individuare invece la prima e più probabile conseguenza dannosa nel disturbo d’adattamento che crea sofferenza psicologica, ma nel quale non è presente la percezione di pericolo di morte (contemplata dallo stress postraumatico).

Mobbing2Vi ho detto che è difficile sia da individuare che da fermare, e nemmeno l’accordo europeo del 2004 (Deitinger, et al., 2009) ci viene incontro: in tale occasione viene infatti affermato che, pur riconoscendoli come fattori di stress lavoro-correlato, “…il presente accordo non concerne la violenza, le molestie e lo stress post-traumatico” (D’Orsi, et al., 2012, pag. 8). Il mobbing sembra pertanto essere al momento escluso dalla normativa vigente.

Per oggi non aggiungo altro, domani farò qualche affondo sulla concezione di Leymann sul mobbing.

11 pensieri su “Il mobbing: quando qualcuno vuole “farti fuori” (e te lo fa capire) (I)

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  2. Alcune precisazioni:
    il mobbing per essere riconosciuto tale deve avere, secondo la maggior parte dei PM, una durata di almeno 2 anni di applicazione
    il mobbing può essere orizzontale o verticale, cioè applicato tra pari livello (esempio lotta tra capponi di manzoniana memoria) o tra livelli lavorativi diversi (esempio dirigente versus impiegato, ma anche l’inverso)

    • Grazie Alberto, nell’articolo non ho parlato volutamente di mobbing verticale ed orizzontale perché mi sarei dilungata troppo, è l’argomento del post di domani. Per quanto riguarda la durata minima, ho fatto riferimento a quello che sono i parametri validi per noi psicologi, sono conscia che i PM siano più restii a confermare la presenza di mobbing. 2 anni è un periodo di tempo eccessivo per sopportare una tale situazione nociva, probabilmente nel frattempo l’individuo ha già cambiato lavoro o si è sottomesso del tutto e non sa come uscirne. Grazie, Elisa.

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    • Ciao Alberto, no: mobbing e bullismo sono due fenomeni diversi, anche se sono entrambi una forma di violenza psicologica. Il mobbing riguarda esclusivamente l’ambito lavorativo, mentre il bullismo è legato al mondo scolastico-giovanile. Tuttavia, soprattutto nella letteratura anglofona, si ritova ancora l’espressione bullying at work che per loro è l’equivalente del nostro mobbing; per questo alle volte è difficile reperire e confrontare la letteratura italiana ed anglofona. Grazie della domanda! Elisa.

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