Ieri abbiamo parlato delle prime due alternative per l’attuazione della seconda fase, oggi mi concentrerò invece sui questionari.
Il questionario è un insieme rigido di domande prefissate che devono essere poste a tutti i soggetti nello stesso modo ed ordine (Caselli, 2005). Deve essere sostenuto da una teoria condivisa, e ritenuto “valido” (per validità di un test si intente il grado di precisione con cui riesce a misurare ciò che si propone di misurare. Chiorri, 2011, pag. 119).
Il questionario sonda solo le dimensioni non riconducibili a tratti o a caratteristiche di personalità, indaga il benessere/malessere dei lavoratori e l’organizzazione del lavoro.
È importante selezionarne uno costruito/adattato appositamente per l’ambiente lavorativo che si sta valutando: adeguato per tipologia di lavoro e per la posizione ricoperta dai lavoratori; deve inoltre coprire tutte le dimensioni critiche emerse nella fase preliminare.
Il corretto utilizzo prevede che: i lavoratori siano informati in merito allo scopo ed alle modalità di raccolta, la somministrazione sia supportata, l’anonimità e la privacy siano garantite, i lavoratori non siano discriminati (es° per problemi di comprensione linguistica), sia prodotto un report finale con dati anonimi e collettivi, ci sia una discussione degli esiti con gli interessati e l’RLS (D’Orsi et al., 2012).
Qui di seguito vi ho riportato una tabella riassuntiva dei questionari attualmente più noti ed utilizzati in Italia.
Dopo avervi spiegato le caratteristiche, l’utilizzo, i punti forti e quelli deboli dei tre strumenti, credo di poter fare un sunto della situazione: non esiste una via preferenziale. Come spesso accade con novità e compiti complessi, bisogna valutare volta per volta le alternative e correre dei rischi. In linea di principio ed a mio parere, i primi due strumenti sono consigliabili per le aziende di piccole dimensioni o per un approfondimento; i questionari sono più indicati per i grandi numeri, anche per questioni di natura statistica.